Questo è un viaggio in cui possiamo vedere poco oltre i parenti. Ma uscendo da una visista per farne un'altra abbiamo avuto il tempo di passare il ponte girevole a Taranto, il ponte di metallo che divide il mar Piccolo dal mar Grande e di approdare a Taranto vecchia e trovarci davanti le antichissime colonne doriche del tempio dedicato a Poseidone. Due colonne di dorico arcaico di rara bell3zza che testimoniano che Taranto è una delle città della Magna Grecia.
E in un attimo siamo scese per vederle da vicino contente come davanti ai regali la mattina di Natale.
Inutile dire che di fronte a quelle colonne la sindrome di Stendhal non ha tardato a farsi sentire, giusto un attimo di stordimento e poi la sorpresa: sotto alle colonne ecco il gatto di Poseidon!
La tradizione vuole che quando io e Viki visitiamo uno scavo archeologico troviamo un felino a far da guardia alle antiche pietre. E così accanto al gatto di Catullo trovato a Sirmione e al gatto di Varinio trovato alla villa del Varignano vecchio oggi abbiamo il gatto di Poseidon del tempio greco di Taranto.
Il fascino della venere di Milo di esemplifica, a mio avviso, in quest'opera di Dalì. Dalì riproduce la Venere inserendo dei cassetti nella testa, nei seni, nella pancia e su un ginocchio. Aggiunge ai cassetti un pomello di pelliccia che ci invita ad accarezzarlo per rinvigorire la sessualità repressa dalla diffusa morale cristiana. I cassetti sarebbero i nostri segreti più intimi che solo oggi la psicoanalisi è in grado di aprire. Ma secondo Breton i significati sarebbero altri e per i dadaisti non significa semplicemente niente, anzi qualcuno suppone che ci sia lo zampino di Duchamp in questa opera di Dalì...
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