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Conta le stelle, se puoi


Anche questa volta non so come sono arrivata a questo libro. Probabilmente attraverso Goodreads, il mio spacciatore di consigli librari, ma se così fosse stavolta ha sbagliato in pieno, perché questo libro proprio non mi è piaciuto.

Perché non mi è piaciuto?
Primo: Lo stile. Le continue ripetizioni che ovviamente vogliono sottolineare e rimarcare l'oralità delle vicende narrate rendono veramente noioso il testo. E anche tutto quel piemontese che io non comprendo mi ha reso veramente difficile la lettura.
Secondo: non mi piacciono le storie verosimili che non siano veramente verosimili. Ovvero a mio avviso non basta "far prendere uno sciopon a quel Mussolino lì" nel 1924 non basta ad evitare la seconda guerra mondiale, non basta a evitare che la famiglia passi per il camino. Io adoro la storia, e adoro i romanzi storici, ma adoro quando sono così ben costruiti che non si capisce dove sia il vero e dove sia la finzione, dove bisogna davvero conoscere bene la storia per non essere tratti in inganno. Invece qui tutto è risolto in maniera troppo semplicistica a mio avviso. 

Ma i gusti sono gusti. Sono certa che chiunque altro abbia letto questo libro invece lo avrà trovato profondo, bello e divertente, ma non io. Anzi le recensioni in rete sono tutte ottime, tutti 5 stelle, ma non io. 

So che si vuol descrivere quel che poteva essere se... ma ci sono modi diversi per evitare che una famiglia vada incontro al suo destino, a mio avviso.

A volte capita di essere una voce fuori dal gruppo.


Moise Levi ha solo ventitre anni la mattina di fine estate in cui lascia Fossano portandosi dietro un carretto di stracci. Vuole andare a Torino a far fortuna, e non può immaginare che quello sia solo l'inizio di una lunga storia. Perché Moise possiede un fiuto eccezionale per gli affari e per i sentimenti: darà il via a una florida ditta di commerci nel ramo tessile, e avrà due mogli, sei figli e un'infinità di nipoti. Dopo la grande guerra mondiale e quel «brutto spettacolo» della marcia su Roma, finalmente la vita di tutti ha ripreso il suo corso. Meno male che nel 1924 a quel «brutto muso di Mussolino» gli è preso un colpo secco, altrimenti la storia di nonno Moise e della sua discendenza sarebbe stata molto diversa. Invece la famiglia Levi - con i suoi amori e i suoi affanni, i suoi commerci e le sue tribolazioni, le grandi cene di Pasqua e i lunghi silenzi delle stanze chiuse - diventa sempre piú numerosa nella casa di via Maria Vittoria, costruita proprio lì dove una volta c'era il ghetto e adesso non c'è piú. 
Elena Loewenthal non ha riscritto la Storia all'incontrario: ha provato piuttosto a mettere la vita al centro, dove la morte ha cancellato tutto. Ha lasciato scorrere la quotidianità dell'esistenza, con la sua allegria e insensatezza per vedere come le gioie e le fatiche di ogni giorno possano fondersi «in una cosa sola che non è troppo distante dalla felicità».

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