Negli anni 80 i giocattoli erano più belli, oggi gli smartphone e i tablet hanno ucciso la fantasia di tutti, inventori e bambini. Questa era certamente la bambola più bella che fosse stata mai progettata. Sembrava vera. Era piccola, media o grande, cresceva proprio come una bambina vera. Parlava, muoveva occhi e bocca. Era splendida e io non l'ho mai avuta. Quando potevo comprarla ho preferito prendere il camper della barbie. Perchè? Perchè l'aveva R. e avevamo giocato insieme e l'avevo invidiata tanto, la sua bambola parlava mentre la mia era di pezza e non faceva niente. Lei aveva tutto tutto e io niente. Lei aveva la bicicletta e io no. Poi lei è finita dentro un fosso a 10 anni ed è morta e io invece no. Quindi la bambola non l'ho più voluta. Però ora a distanza di 28 anni un po' la rimpiango, mi piacerebbe averla, me la farebbe ricordare, anche se i giochi con R. li ho ben stampati nella memoria come il sapore dell'estatè che bevevamo durante quell'estate, l'estate dei mondiali del 90, di Baggio e di Schillaci, di Tacconi. Oggi ho una figlia che ha quell'età e grazie al cielo nessuna amica morta da bambina, ma un'estate altrettanto magica.
Il fascino della venere di Milo di esemplifica, a mio avviso, in quest'opera di Dalì. Dalì riproduce la Venere inserendo dei cassetti nella testa, nei seni, nella pancia e su un ginocchio. Aggiunge ai cassetti un pomello di pelliccia che ci invita ad accarezzarlo per rinvigorire la sessualità repressa dalla diffusa morale cristiana. I cassetti sarebbero i nostri segreti più intimi che solo oggi la psicoanalisi è in grado di aprire. Ma secondo Breton i significati sarebbero altri e per i dadaisti non significa semplicemente niente, anzi qualcuno suppone che ci sia lo zampino di Duchamp in questa opera di Dalì...
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