Una volta ero un'insegnante di Storia dell'arte e questo libro mi sarebbe servito parecchio. Non ho gettato la spugna, magari un giorno riuscirò nuovamente ad esserlo e mi tengo in allenamento.
Lo ammetto, di questo libro ne ho capito il 20% . Non è un libro di storia dell'arte, ma uno di psicoanalisi. L'autore fa spesso riferimenti ad Freud, Lancan ed altri e presuppone la conoscenza delle loro teorie in moltissimi passi. Beh io sono quasi totalmente al''oscuro della loro filosofia se non per sommi capi quindi ho trovato la lettura di questo testo a tratti incomprensibile.
Questo testo è un'ennesimo tassello interpretativo dell'opera di Van Gogh, interpretazioni che mettono in relazione il genio creativo dell'artista e la sua malattia mentale. Io non sono molto d'accordo in linea generale su queste speculazioni, però è indubbio che ogni artista porti sulla tela il suo mondo, quello che vive e quello che pensa. Recalcati vede nei traumi dell'infazia una spinta verso la tensione artistica in cui mi vede d'accordo, ma è la conclusione nel mito di Icaro che non mi convince fino in fondo.
In Vincent Van Gogh la relazione tra esistenza e opera, tra malattia
mentale e creazione ha fornito materia a una lunga tradizione
interpretativa, soprattutto psicoanalitica. Nessuno però ha saputo, al
pari di Massimo Recalcati, mettere in rapporto malinconia e dipinti
senza cedere a tentazioni patografiche, nel rispetto pieno
dell'autonomia dell'arte. Per nessi illuminanti Recalcati procede dalle
radici familiari della sofferenza psicotica di Vincent - venuto al mondo
nel primo anniversario della morte del fratellino del quale gli fu
imposto il nome - alla scelta di vivere da sradicato la propria
indegnità di figlio vicario, alla spinta mistica verso la parola
evangelica, fino all'estrema devozione alla pittura. Le maschere del
Cristo e del «giapponese» servono a Van Gogh per darsi un'identità di
cui si sente privo. I suoi quadri costituiscono lo sforzo estremo di
attingere, attraverso la luce e il colore, direttamente all'assoluto,
alla Cosa stessa. Ma la consacrazione all'arte, che all'inizio lo aveva
salvato dalla malinconia originaria, si rivela ciò che lo fa precipitare
negli abissi della follia. Il suo movimento pittorico e biografico dal
Nord al Sud lo avvicina troppo al calore incandescente della Luce e in
questa prossimità, come nel mito di Icaro, egli finisce per consumarsi.
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