Quando ho visto questo libro in libreria non ho saputo resistergli anche se non avevo mai letto un libro di Erri De Luca. Dopo 3 pagine volevo abbandonarlo per l'argomento scomodo, per le frassi un po' dure con cui esordisce. Ho pensato che non era libro per me, non era un libro per questo momento. Poi, non riesco a mollare i libri se non con un atto di volontà molto forte così ho continuato, anche perchè sono proprio poche pagine. L'ho finito e mi è piaciuto, anche se non credo che tornerò mai a riaprirlo. Ha spostato qualcosa in me e non credo che avrò mai voglia di rimuovere quelle cose.
è un libro profondo, un'esperienza forte.
DA provare.
Sarebbe stata una buona lettura da condividere, ma credo che i sentimenti provati durante la lettura vagheranno in me ancora altri due o tre giorni per poi sedimentarsi in quell'angolo in cui li ho ritrovati e non mi va tanto di tirarli fuori.
Di cosa parlo il libro?
"Una sera, mentre rilegge Pinocchio, un uomo sente la presenza del figlio che non ha avuto, il figlio che la madre – la donna con cui in gioventù lo concepì – decise di abortire. Alla fiamma del camino, il figlio gli appare già adulto, e quella presenza basta “qui e stasera” a fare la sua paternità.
Per tutta la notte, al figlio “estratto da una cena d’inverno” lui racconta “un poco di vita scivolata”. E così ecco l’infanzia napoletana, la nostalgia della madre e del padre, il bisogno di andare via, di seguire la propria libertà, le guerre trascorse ma anche i baci che ha dato… Fino a che il figlio, da muto che era, prende la parola e il monologo diventa un dialogo, che indaga su una vita, sugli affetti, sulle scelte fatte, sui libri letti e su quelli scritti, sull’importanza delle parole e delle storie. Un’indagine che, più che tracciare un bilancio, vuol essere scandaglio, ricerca interiore – quasi una rivelazione." (cit. qui)
Questo lo trovate nel risvolto di copertina, quindi non anticipo nulla, anzi questa recensione mi ha proprio catturata, sono le parole forti di questo dialogo/monologo che portano poi ad una riflessione personale grande, del resto i libri non servono a questo? Non sono catartici?
è un libro profondo, un'esperienza forte.
DA provare.
Sarebbe stata una buona lettura da condividere, ma credo che i sentimenti provati durante la lettura vagheranno in me ancora altri due o tre giorni per poi sedimentarsi in quell'angolo in cui li ho ritrovati e non mi va tanto di tirarli fuori.
Di cosa parlo il libro?
"Una sera, mentre rilegge Pinocchio, un uomo sente la presenza del figlio che non ha avuto, il figlio che la madre – la donna con cui in gioventù lo concepì – decise di abortire. Alla fiamma del camino, il figlio gli appare già adulto, e quella presenza basta “qui e stasera” a fare la sua paternità.
Per tutta la notte, al figlio “estratto da una cena d’inverno” lui racconta “un poco di vita scivolata”. E così ecco l’infanzia napoletana, la nostalgia della madre e del padre, il bisogno di andare via, di seguire la propria libertà, le guerre trascorse ma anche i baci che ha dato… Fino a che il figlio, da muto che era, prende la parola e il monologo diventa un dialogo, che indaga su una vita, sugli affetti, sulle scelte fatte, sui libri letti e su quelli scritti, sull’importanza delle parole e delle storie. Un’indagine che, più che tracciare un bilancio, vuol essere scandaglio, ricerca interiore – quasi una rivelazione." (cit. qui)
Questo lo trovate nel risvolto di copertina, quindi non anticipo nulla, anzi questa recensione mi ha proprio catturata, sono le parole forti di questo dialogo/monologo che portano poi ad una riflessione personale grande, del resto i libri non servono a questo? Non sono catartici?
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