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L’impresa


Le previsioni del tempo preannunciavano temporali.

Le mie figlie non ne avevano voglia.

Tutto era contro l’impresa, tranne la mia determinazione.

Non ho messo la sveglia perché mi sveglio sempre da sola fra le 6:30 e le 7:30, bene per la prima volta ho dormito tranquillla fino alle 9, loro erano già sveglie e non mi hanno svegliata per paura che mi arrabbiassi e soprattutto speravano che saltasse tutto. Nonostante questo siamo partiti lo stesso, il cielo era terso, la temperatura non troppo alta e siamo partiti alle 10:30.

Nei mie piani la partenza doveva essere un po’ prima, però va bene lo stesso.

Secondo i racconti del nonno si impiegava meno di 1 ora ad arrivare tramite la via del volto santo al Santuario dell’Argegna. Lui. Le sue gambe. Il suo fisico. Il sentiero manutenuto a regola d’arte. Io,le mie gambe, la mia scarsa abilità a individuare i percorsi, due bambine al seguito e i loro mugugni e la voglia di instagrammare ogni angolo, e ammirare ogni scorcio, ovviamente hanno fatto diventare la strada lunga quasi 3 ore.

Non nascondo che i primi 30 minuti sono stati veramente infernali e la voglia di lasciare è stata tanta. La salita era veramente ripida e poco panoramica, ma mi hanno tenuto compagnia le immagini dei bambini della mia famiglia che prima o dopo la scuola percorrevano quelle “strade” per prendere il latte ai Pascoli oppure per portare il pranzo ai grandi occupati nei lavori agricoli, vestiti di tela, magari con scarpette dalla scuola di cuoio... io invece con le mie salomon antigrip e abbigliamento tecnico da montagna avevo il coraggio di lamentarmi?

Animata da questi pensieri siamo arrivati al punto in cui nel lontano 1945 un nonno bambino con il suo gregge di pecore al seguito aveva visto arrivare la colonna dei carrarmati americani. Il nonno a quell’epoca aveva l’età di Vittoria oggi. Faccio fatica ad immaginare Viky nelle situazioni in cui si trovarono i nonni allora. Ma erano altri tempi, altre situazioni. Come faccio fatica a immaginare che una colonna mobile abbia percorso la stessa strada che ho percorso oggi io a piedi. In 70 anni in pratica una strada che per secoli è stata una via importantissima di comunicazione è sparita. Questo tratto di Francigena è di fatto ridotta a viottolo di 40/50 cm e a volte anche meno. Da quel punto che il nonno chiamava delle “due vie” ho sentito meno la fatica perché cercavo di guardare lacerti dell’antico tracciato della carreggiata, carreggiata ampia almeno come un carrarmato.

Cercando il tracciato mi sono trovata dinnanzi un bellissimo torrente con molte cascatelle, in questo momento c’era pochissima acqua, ma quella che c’era era fresca e utile per rinfrescarsi dopo la salita. Da lì il paesaggio cambiava, iniziava un querceto e il sentiero era pianeggiante, il pezzo più piacevole e incantevole.

Ma ovviamente in questi casi si deve salire... e si è saliti per un sentiero dei nidi di ragno. Mi è parso a tema. E da qui c’è stata una buona mezz’ora di salita in cui era meglio non parlare e farsi assistere da immagini confortanti.

Quando abbiamo iniziato a vedere rumenta di ogni tipo abbiamo capito che la strada era vicina e il sentiero stava finendo. Reti del letto, plastica, residui edilizi, solita sporcizia dell’uomo, troppa fatica andarla a portare nel posto giusto.

Una volta arrivati nella strada asfaltata abbiamo deviato per vedere il sito archeologico dell’ospitale di Tea. Sono 20 anni che lo volevo vedere e a dir la verità non avevo capito dove realmente fosse perché di lì ci sarò passata un milione di volte senza saperlo e ovviamente senza vederlo. Comunque ho potuto vedere ben poco se non dell’erba. Solita cura tipicamente italiana dei beni culturali.

Ma questo è un problema comune a tutti i parchi archeologici italiani, non solo al povero e sconosciuto ospitale dell’XI secolo sulla francigena. 

Dall’ospitale di tea al moderno santuario della Madonna dell’Argegna ci è voluto ancora un po’, vuoi il caldo, vuoi la fatica della salita, vuoi che erano anni che non andavo e ho fatto un po’ fatica a ricordare quei posti. Però ci sono arrivata, sono entrata nel Santuario e ho acceso la candela alla statua che la mia famiglia era solita portare in processione ogni anno. Ora non la porta più nessuno, non ci sono più portatori di Madonne in casa mia. Però ho rinnovato la tradizione andando al santuario a piedi come facevano allora.

Vicino al santuario c’è un ristorante e abbiamo pranzato li. Mi avrebbero potuto servire qualsiasi cosa e sarebbe stato comunque tutto buonissimo. Per cui meglio che non scriva niente, parlerebbero fame e stanchezza.

Dopo il pranzo ci siamo presi una lunga pausa sotto gli alberi che attorniano il Santuario.

Una pausa troppo lunga. Non avevo la forza di tornare indietro.

Eppure ho dovuto trovarla.

Non ho fatto la via dell’andata, ma un’altra, più lunga ma più facile, che ho percorso tante volte. Una strada Più dolce e panoramica. Una via dove ci sono campi dove andavamo a fare pic nic, dove ho un sacco di ricordi ma dove 30 anni di abbandono hanno reso irriconoscibili prati e boschi. Strade che 30 anni fa erano asfaltate ora sono sterrate, e in 20 anni tutto è cambiato. Negli anni 80 ho fatto anch’io tutta quella strada solo con le ciabattine di gomma senz’acqua con il nonno! Poi avevamo tagliato nel bosco ed ero passata in mezzo ai rovi ed ero tornata con le gambe tutte tagliate e la nonna si era arrabbiata un sacco. Mi ricordo anche che un pezzo lo avevo fatto sulle spalle del nonno proprio perché c’erano i rovi e avevo i pantaloni corti e le ciabatte, ma in quegli anni non usava comprare le scarpe da ginnastica d’estate. Avrò avuto 7 anni... forse 8, allora mio nonno mi alzava con una mano sola da quanto era forte. Figurarsi portarmi giù per quella strada in groppa, un gioco da ragazzi.

La discesa è stata facile, semmai un susseguirsi di ricordi, persino angoli in cui il nonno si fermava a fare le scope. Però sono più le cose che non ci sono più come il ciliegio sotto il quale facevamo i picnic, la fonte di acqua buona che sgorgava dal terreno.

All’ultima curva quando ho visto il cimitero mi è quasi venuto da piangere,ero stanca 15 km sono tanti. Mi sono fermata un attimo a salutare i nonni, poi sono andata anche dai bisnonni e gli ho detto che questo giro lo dedicavo alla famiglia tutta, perché nonostante non ne porti il nome io me ne sento parte e vorrei tramandare l’erededità e i racconti delle loro abitudini nei secoli anche ai tempi “del cotone” in cui viviamo oggi i giovani hanno poca voglia di camminare, ascoltare e fare qualsiasi cosa che non sia guardare un telefonino.

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